Big Data, il nuovo petrolio dell’economia

La quarta rivoluzione industriale rappresenta la fusione dei mondi fisici, digitali e biologici. Aree come la robotica, l’intelligenza artificiale e l’Internet delle cose hanno raggiunto progressi travolgenti, ma al centro di questa trasformazione c’è la più ricca delle potenze, quella rappresentata dalle persone collegate tra loro mediante dispositivi che generano grandi quantità di dati, i Big Data.

Nel 2015, gli utenti di Facebook hanno inviato in media più di 31 milioni di messaggi e hanno visualizzato circa 3 milioni di video al minuto. Le informazioni digitali si raddoppiano velocemente, ogni anno il loro volume cresce a livelli esorbitanti. Entro cinque anni nel mondo ci saranno oltre 50 miliardi di dispositivi connessi, tutti sviluppati per raccogliere, analizzare e condividere dati.

Rispetto a un secolo fa infatti oggi sono i giganti che trattano i dati ad avere una posizione egemone nel sistema di mercato, a gestire il nuovo “petrolio” dell’economia, la risorsa più preziosa al mondo, in grado di stravolgere l’ordine della ricchezza mondiale.

Apple, Alphabet (casa madre di Google), Microsoft, Facebook e Amazon sono infatti le aziende ad avere oggi il maggior valore sui mercati. Tutte e cinque fondano la loro ricchezza sui dati raccolti dagli utenti che utilizzano i loro prodotti, nuovo capitale più importante e redditizio del bene o del servizio stesso che producono. Il successo dei giganti giova anche i consumatori: molti avrebbero difficoltà a navigare senza il motore di ricerca di Google, tantissimi usufruiscono della consegna in un giorno di Amazon e si informano mediante il flusso di notizie su Facebook. Questi servizi potrebbero sembrare gratuiti ma in realtà gli utenti pagano consegnando loro preziosissimi dati, un controllo che  conferisce alle aziende un enorme potere.

Gli smartphone e Internet hanno reso i dati abbondanti e onnipresenti. Che tu stia andando a correre, guardando la TV o bloccato nel traffico, ogni tua attività lascia un segno che verrà memorizzato. Non solo. Dai treni della metropolitana alla macchina del caffè tutti i tipi di dispositivi stanno diventando fonti di dati. Il mondo sarà presto pieno di sensori collegati in modo che le persone lascino una traccia digitale, generando dati ovunque vadano e qualsiasi cosa facciano, anche se non sono collegati a Internet.

Attraverso i dati le grandi aziende conoscono cosa piace di più generando nuovi prodotti più mirati rispetto alla richiesta e alle necessità degli utenti. La personalizzazione dei servizi è una cosa positiva, gli utenti vi trovano risposte più vicine ai loro bisogni, ma oggi più che mai diventa necessario gestire la proprietà dei dati. Questi appartengono alla persona e non possono essere usati come merce da vendere o scambiare, tenendone il reale proprietario all’oscuro. Occorre riportare al centro le persone e il loro benessere. Innovazione si, ma sempre con il cittadino come beneficiario primario, il valore dei nostri dati infatti lo decidiamo noi mediante le nostre azioni.

Un esperimento sociale firmato Kaspersky Lab, società di cybersecurity, a Londra ha voluto richiamare l’attenzione su questo tema, con il Data Dollar Store, un negozio, apparso dal 6 e il 7 settembre 2017, dove si potevano comprare alcune opere dello street artist Ben Eine, soltanto con i propri dati personali. L’idea sembrerebbe una provocazione utopica, ma potrebbe anche essere una realtà non troppo lontana, visto il valore che tutti, banche e istituzioni oltre agli addetti ai lavori, cominciano giustamente a riconoscere ai Big Data.