Biorobotica, il futuro è nella natura

Ci hanno terrorizzati in Metalhead, l’episodio dell’ultima stagione di Black Mirror. I cani-robot molto simili a quello reale che in un video della Boston Dynamics riesce ad aprire le porte grazie al suo quinto arto articolato.

Aziende, università e laboratori di robotica di tutto il mondo, prendendo spunto dalla natura, sono da sempre all’opera nel progettare dispositivi, osservando la morfologia e il comportamento degli animali. Aerei che volano come uccelli, robot simili a scarafaggi, meduse, gabbiani e lumache meccaniche.

Oltre a studiare i cani, la Boston Dynamics e il Mit si sono ispirati ad esempio al ghepardo per realizzare WildCat, che con i suoi 32 km/h è il robot più veloce mai creato, e Cheetah in grado di riconoscere e di saltare ostacoli autonomamente fino a 33 centimetri.

Anche la società tedesca Festo, svolgendo ricerche sui movimenti degli animali, ha sviluppato un braccio meccanico flessibile molto simile alla proboscide degli elefanti. Concepito per essere utilizzato in ambienti di lavoro dove macchine e uomini operano fianco a fianco, il braccio è in grado di farli interagire in modo semplice, efficiente e soprattutto sicuro. I segmenti del tronco sono stati disseminati di sensori in grado infatti di percepire il contatto con le persone e gli oggetti attorno. Utilizzando delle camere di plastica vuote che cambiano dimensione con la pressione dell’aria, la macchina consente di effettuare una gran quantità di movimenti e afferrare e trasportare oggetti leggeri come uova, fino a carichi da 300 kg. Questo sistema, con possibili risvolti in campo medico e meccanico, ha portato l’azienda a ricevere il Future Award 2010.

Cassie lo struzzo, invece, è un robot messo a punto nei laboratori della Oregon State University. Leggero e veloce, è dotato di un ottimo senso dell’equilibrio. L’assenza del torso e della testa lo rendono particolarmente stabile e adatto a muoversi su terreni scoscesi e irregolari. Potrebbe essere un ottimo assistente ai soccorritori in caso di calamità naturali oppure essere utilizzato per le consegne a domicilio.

La robotica è quindi sempre più orientata a copiare dalla natura per prenderne il meglio e trasformare ossa, muscoli e tendini in macchine e circuiti al servizio dell’umanità. Nel futuro si cercherà sempre più di prendere ispirazione dalla biologia per sviluppare robot che puntino dove nessun altro è mai giunto prima, applicando la ricerca a risolvere i problemi del mondo reale, al di fuori dell’ambiente di laboratorio.

 

Confindustria Marche Nord e MIP Politecnico di Milano insieme nel “Percorso Industria 4.0”

Confindustria Marche Nord prosegue il piano di azioni su Industria 4.0 rivolto agli associati, proponendo un percorso formativo specialistico di 5 giornate progettato e realizzato in collaborazione con MIP – Politecnico di Milano Graduate School of Business.

Gli obiettivi del “Percorso Industria 4.0” sono:

  • approfondire le origini della moderna rivoluzione industriale 4.0, per far comprendere meglio le potenzialità del manufacturing del futuro: intelligente e sostenibile;
  • introdurre in modo organico e sistematico gli elementi costituenti dell’innovazione 4.0, dalle nuove tecnologie di produzione, alle tecnologie digitali IoT;
  • fornire strumenti concreti ai responsabili di produzione, di stabilimento e di reparto per aumentare l’efficienza dei processi e dei sistemi produttivi.

Il corso è rivolto agli imprenditori ed ai loro più stretti collaboratori (Direttori Generali, Responsabili di Produzione, Responsabili di Stabilimento).

Per tutti gli approfondimenti è possibile consultare la scheda descrittiva del percorso o contattare Confindustria Marche Nord (tel: 071.29048218 – email: [email protected]).

 

Il Biological Manufacturing System, la chiave per la prossima rivoluzione industriale

Si parla sempre più spesso di intelligenza artificiale e robotica che, indipendentemente da ciò che si pensi a riguardo, saranno i grandi protagonisti della prossima rivoluzione industriale.

Oltre alla produzione, scalabile e completamente automatizzata, i robot possono aiutare nelle attività di servizio, dalle richieste dei clienti fino alle attività creative, come ad esempio nella progettazione, dove sono più veloci, operosi e precisi degli esseri umani.

Poiché il nostro futuro, come quello della comunicazione, è legato agli androidi, dobbiamo pensare a come costruirne esemplari sempre più autonomi ed “etici”.

Al Georgia Institute of Technology, i ricercatori hanno costruito Quixote, un sistema di intelligenza artificiale che insegna ai robot a distinguere il bene dal male, attraverso la lettura di storie e atteggiamenti gratificanti, programmandoli in modo che possano difendersi da potenziali molestie, invece che imparare da esse.

Grazie alle tecnologie alla base di Industry 4.0, come ad esempio lo sviluppo di sistemi autonomi, l’elevato grado di interconnessione e i materiali innovativi, il  cositddetto Biological Manufacturing System (BMS) mira a gestire i cambiamenti dei sistemi produttivi sulla base di idee biologiche come l’auto-crescita, l’auto-organizzazione, l’adattamento e l’evoluzione.

Il modello, basandosi sulle caratteristiche e sui modi degli organismi viventi, sviluppa infatti un comportamento adattivo, che consente agli automi di affrontare ogni sfida usando principi di apprendimento ed adattabilità. Una riconfigurazione dinamica dei sistemi di produzione dove le macchine agiscono quindi in modo spontaneo, permettendo ottimizzazione, riduzione dei tempi e dell’impatto ambientale, miglioramento della qualità e abbattimento dei costi.

Dinanzi a queste scoperte, diviene necessario porre le basi per una solida e condivisa Roboetica, un’etica della robotica, in grado di rispondere alle crescenti domande e di risolvere eventuali problemi in merito ad una corretta convivenza con gli esseri umani.

 

Industory: le eccellenze dell’Italia 4.0

Un viaggio nell’Italia che innova. È il progetto Industory: testimonianza di percorsi di crescita, aziendale ma non solo. E’ l’innovazione dei processi produttivi ma al tempo stesso è anche lo sviluppo di nuove opportunità per le persone.

Si tratta di una serie di video-interviste realizzate da Confindustria nell’ambito del piano “Industry 4.0 – Preparati al Futuro”, curato insieme ad SFC. Storie di eccellenza, quelle dei “campioni” scelti per raccontare l’esperienza della propria impresa lungo il percorso della digitalizzazione. Alcune di queste sono state anche proiettate lo scorso 5 febbraio a Torino, in occasione della presentazione dei risultati del Piano Nazionale Industria 4.0, cui hanno partecipato – tra gli altri – il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, il premier Gentiloni e il ministro Calenda.

Le prime 6 storie di Innovazione 4.0 sono state già pubblicate sul sito dedicato al progetto, vetrina delle attività in corso. Imprese familiari e realtà più manageriali, attive nei settori più diversi e in varie regioni del Paese: sono loro le protagoniste delle video-interviste che vi invitiamo a consultare qui: https://preparatialfuturo.confindustria.it/industory/

Ma non ci sono solo le Industory, che aumenteranno nelle prossime settimane. Procede infatti spedito sul territorio il roadshow per presentare alle imprese le opportunità della nuova rivoluzione digitale, giunto alla sua ottava tappa. Altre dieci sono già in calendario, dal Nord al Sud dell’Italia, per un viaggio affascinante che si concluderà a giugno. Un motivo in più, insomma, per continuare a seguire questa importante iniziativa.

 

L’inizio dell’autosufficienza delle macchine

Con la quarta rivoluzione industriale, si confonde sempre più la linea di separazione tra il mondo fisico e quello digitale. L’applicazione della Blockchain, ad esempio, migliora significativamente l’autenticità e l’integrità dei dati relativi ad oggetti fisici o servizi e rendere sicure e convenienti le transazioni. Ma ci sono ancora molti limiti in termini di scalabilità, requisiti di risorse informatiche e costi di transazione.

Sta quindi facendo parlare di sé un nuovo progetto: IOTA. Si tratta di una tecnologia giovane, con una base crittografica non ancora pienamente collaudata ma con un potenziale promettente, creato per essere utilizzato nell’Internet of Things, per fornire comunicazioni e forme di pagamento sicure tra le macchine. Contrariamente alle precedenti, basate su Blockchain complesse e gravose, IOTA è stata creata nel 2015, pensando alle transazioni automatiche tra macchine per trasferire criptovalute a zero commissioni.

Il progetto sfrutta il sistema Tangle, con un’architettura completamente nuova che si basa su algoritmi sicuri e un livello di protocollo che si concentra sulla convalida delle transazioni in una struttura di diagramma Aciclico Diretto (DAG).

Una delle principali differenze con la Blockchain è che in IOTA ogni partecipante della rete è attivo nel consenso e nella convalida delle transazioni. Quando un dispositivo effettua una transazione e la trasmette alla rete, per protocollo o “per impostazione predefinita”, deve convalidare due transazioni precedenti. Una vera rete peer-to-peer di macchine per le macchine.

Questo nuovo approccio presenta quindi molti vantaggi come il decentramento, la scalabilità, nessun costo di transazione e tempi di esecuzione ridotti.

In un futuro mondo IoT, dove le macchine fanno transazioni tra loro, i dispositivi intelligenti scambieranno piccoli e grandi pacchetti di dati lungo una supply chain dinamica. Si stima che nei prossimi anni ci saranno più di 50 miliardi di dispositivi connessi a Internet, con relativi servizi e micro-transazioni.

Con IOTA, i dispositivi verranno trasformati in “macchine economicamente indipendenti” con capacità di effettuare autonomamente transazioni. Prossimamente possiamo quindi aspettarci che una macchina sarà in grado di pagare il suo assemblaggio, la sua manutenzione, la sua energia e anche per la sua assicurazione di responsabilità fornendo dati, potenza di calcolo, storage o servizi fisici alle altre macchine.

Per la prima volta nella storia i dispositivi saranno perciò in grado di ricavare e spendere denaro da soli, trasformandosi in entità che tengono traccia delle entrate e delle spese connesse con le proprie attività.

Le macchine potranno così raggiungere l’auto-governo, uno scenario che anticipa l’inizio della loro autosufficienza.

 

Perché il grafene è il materiale del futuro

Nel 2004 Andre Geim e Konstantin Novoselov, mentre conducevano esperimenti su un cristallo di grafite, riuscirono a isolarne una foglia per caso grazie a del comunissimo nastro adesivo. Scoprirono così il grafene, un materiale straordinario, destinato a cambiare la nostra vita di tutti i giorni.

Il grafene è costituito da un singolo strato di atomi di carbonio e quindi considerato bidimensionale, nonostante ciò ha la resistenza di un diamante (cento volte più solido dell’acciaio) e la flessibilità della plastica. Un “super-materiale” quindi che, grazie alle sue caratteristiche, ha diverse possibilità di impiego, in particolare nel campo tecnologico, ad esempio dai sensori per le impronte digitali e per la rilevazione della frequenza cardiaca agli schermi flessibili.

È inoltre un conduttore di grande efficienza, a temperatura ambiente è più rapido di qualsiasi altro materiale conosciuto, in grado di caricare da 100 a 1000 volte più velocemente rispetto alle batterie tradizionali.

I ricercatori del Gwangju Institute of Science and Technology hanno sviluppato dei super-condensatori a base di grafene che si possono ricaricare completamente in soli 16 secondi ed essere riutilizzati circa 10.000 volte, senza avere una riduzione significativa delle capacità.

La società Directa Plus di Lomazzo (Como), leader nell’applicazione del grafene nel mondo tessile, crea invece tessuti con proprietà antistatiche, altamente conduttivi, schermanti le onde elettromagnetiche e in grado addirittura di cambiare la temperatura del corpo umano. A breve potremmo avere quindi maglie sportive che si riscaldano o rinfrescano a seconda della stagione.

Con le lenti a contatto in grafene, create da Zhaohui Zhong dell’Università americana del Michigan, sarà invece possibile vedere al buio. Attualmente utilizzate nelle fotocamere all’infrarosso per percepire oggetti e persone tramite la conduzione termica, potranno essere impiegati per individuare prodotti chimici dispersi nell’ambiente oppure per monitorare il flusso sanguigno all’interno del corpo umano.

Il grafene ha infatti tutto il potenziale per influire anche sull’industria farmaceutica, abilitando ad esempio la somministrazione mirata di componenti farmacologiche a livello cellulare oppure nella creazione di impianti bionici, come le retine artificiali. Le nanoparticelle di grafene non sono tossiche fino alla concentrazione di 50 µg/ml. Questo significa che, a basse dosi, sono sicure per le applicazioni biomediche.

Le sue proprietà uniche sono quindi preziose in molti settori. Anche se, in questo momento, la produzione richiede una grande quantità di energia ed è quindi molto costosa.

L’Unione Europea ha però recentemente finanziato con un miliardo di euro il progetto Graphene Flagship. L’obiettivo è quello di riunire ricercatori accademici e industriali per portare il materiale dai laboratori universitari alla società, generando così una crescita economica europea, nuovi posti di lavoro e nuove opportunità nell’arco dei prossimi dieci anni.

Nella speranza che il grafene riesca ad avere presto costi di produzione inferiori, il suo business continua comunque ad essere fervido, generando un mercato mondiale che, secondo IlSole24Ore, varrà circa 675 milioni di dollari nel 2020, con un tasso di crescita annuale del 58,7%.