I benefici della Data Economy e il dispiegamento della banda ultra larga possono portare all’Italia, nello scenario base, tra i 52,2 e i 78,4 miliardi l’anno da qui al 2030, con un’incidenza sul PIL in crescita dal 3% al 4,1%. E’ quanto emerge dallo studio “La Data Economy in Italia e il ruolo del Cloud per la transizione digitale”, realizzato da The European House-Ambrosetti su incarico di Tim e presentato nel corso del Forum Ambrosetti di Cernobbio. Secondo la ricerca, per Data Economy si intende quell’estesa catena di attività che valorizzano i dati attraverso processi di generazione, raccolta, elaborazione, analisi, automazione e sfruttamento dei dati, resi possibili da tecnologie digitali abilitanti quali il Cloud, l’Internet of Things e gli algoritmi di analisi dei dati.
Lo sviluppo della Data Economy implica inoltre la crescita dei “professionisti dei dati”, il cui numero può raggiungere gli 1,1 milioni al 2030 (1,6 milioni in uno scenario accelerato) dai 600mila attuali.
Il punto di attenzione dello studio è costituito dai ritardi che l’Unione Europea (e quindi anche l’Italia) sconta rispetto ai principali competitor (Stati Uniti e Cina).
L’Europa genera una mole rilevante di dati, ma non è oggi in grado di valorizzarne tutti i possibili benefici a causa di un ritardo competitivo nei modelli di business digitali. L’Europa che è oggi la seconda regione al mondo per numero di utilizzatori di Internet (728 milioni, dopo i 2.525 milioni dell’Asia) può contare solo su una società nella top15 globale delle aziende tech per capitalizzazione. Il contributo europeo all’economia delle piattaforme è inoltre pari solo al 4% a livello globale, meno di un quinto rispetto all’Asia (21%) e ben 18,5 volte in meno rispetto agli Stati Uniti (74%).
Consulta il report al seguente link e la presentazione dello studio
Per maggiori informazioni consulta il comunicato stampa